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Il Pistacchio di Raffadali entra nel registro Dop e Igp Sicilia

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Una nuova gemma del paniere agroalimentare siciliano, il pistacchio di Raffadali ottiene il riconoscimento Dop e Igp Sicilia.

 

 

Prodotto di prestigio e di importante valore economico per il territorio il pistacchio di Raffadali, piccolo centro dell’agrigentino, entra a far parte dei prodotti agroalimetari siciliano riconosciuti Dop e Igp.  Il pistacchio prodotto in questa provincia siciliana presenta della caratteristiche che lo distinguono sia per la qualità, sia per la grandezza, dagli altri tipi di pistacchio prodotti nelle altre parti del mondo; il suo sapore quando fresco è estremamente gradevole, è un frutto molto pregiato che riscontra una grande approvazione anche all’estero dove viene esportato, soprattutto nei paesi europei e nel Giappone grazie alle sue notevoli dimensioni e all’intensa colorazione verde.

 

 

«Accolgo con soddisfazione la notizia che un’altra eccellenza dell’agroalimentare siciliano risulta da oggi iscritta nel Registro europeo delle Dop e Igp. Il Pistacchio di Raffadali si conferma così prodotto di prestigio e di importante valore economico per un territorio che, con 500 ettari di pistacchieti, interessa le province di Agrigento e Caltanissetta». Così l’assessore regionale all’Agricoltura, allo Sviluppo Rurale e alla Pesca mediterranea, Toni Scilla, commenta l’iscrizione del Pistacchio di Raffadali nel Registro europeo delle Denominazioni di origine protette e delle Indicazioni geografiche protette.

 

 

 

«Non mancheranno adesso le opportunità per intercettare ed esplorare nuovi mercati e puntare quindi su una maggiore valorizzazione del brand Sicilia. Il Governo Musumeci continua a sottolineare l’importanza dell’agroalimentare quale fattore di sviluppo, promozione e valorizzazione del territorio».​

Meno conosciuto dal pistacchio di Bronte ma non per questo è meno importante o di minor pregio quello di Raffadali che affonda le sue radici nella dominazione araba. In particolare, si narra che fu proprio un giardiniere arabo ad aver lasciato in eredità alle monache di clausura del convento di Santo Spirito di Agrigento un’antica ricetta con il Pistacchio di Raffadali: il cous cous dolce. Nel corso del tempo hanno tramandato questo piatto da sorella a sorella e la cosa sorprendente è che ancora oggi, dopo ben seicento anni, le monache di Santo Spirito preparano lo stesso cous cous al pistacchio, proprio come una volta.

Il Pistacchio di Raffadali compare poi anche sulle tavole sontuose del Duca Giovanni Antonio Colonna, a cui va il merito di aver aggiunto centinaia di piante di pistacchio alle floride piantagioni già esistenti nei suoi territori di Raffadali e Joppolo Giancaxio. Fu lungimirante, poiché da appassionato di botanica qual era, colse subito le immense potenzialità di una pianta così resistente.

Il pistacchio è una pianta secolare, molto resistente: infatti, è l’unica che si adatta a quasi qualsiasi tipo di terreno, anche vicino al mare, cercando e trovando da sola con le sue radici tutto quello di cui ha bisogno. Può raggiungere un‘età di 400 anni e un’altezza di circa 12 metri, con una fase giovanile piuttosto lunga, tanto che i primi frutti si raccolgono in genere dopo 7/10 anni. La produzione dei frutti avviene tra fine agosto e inizio a settembre, ma solo ogni due anni; dopo la raccolta, i pistacchi vanno tenuti al sole per essere essiccati, operazione che un tempo si svolgeva nella piazza centrale di Raffadali.

Purtroppo negli anni Settanta gran parte delle piantagioni sono state abbandonate: sia per il prezzo basso del pistacchio a confronto della grande mole di lavoro; sia per le politiche agricole che hanno incentivato altre colture quali le vigne. Così molti hanno venduto i propri pistacchieti, ignari dell’immenso valore che stavano svendendo. È stato poi grazie ad alcune personalità come Francesco Nocera, oggi vicepresidente del Consorzio, che nel tempo si è ripresa questa coltivazione e si è costituita l’associazione per la tutela del Pistacchio di Raffadali con lo scopo di raggiungere la DOP e di promuovere la trasformazione del frutto in tutti i suoi possibili impieghi; obiettivi oggi praticamente raggiunti. L’associazione conta 120 associati in una vasta area di produzione di circa 500 ettari, distribuiti tutti in provincia di Agrigento.

Il Pistacchio di Raffadali si differenzia da quello di Bronte per tre motivi. In primo luogo perché a Raffadali ci sono diverse espressioni locali di cultivar, ascrivibili alla Bianca Napoletana quali la Cappuccia e la Grappalora. In secondo luogo per la coltivazione: a Bronte i rami scendono vengono potati per innalzare la pianta, mentre a Raffadali si lasciano cadere giù; in questo modo i pistacchi di Raffadali risultano leggermente più dolci, poiché acquisiscono più olio e grasso dalla terra. Infine, cambia il tipo di terreno: quello di Bronte è alle pendici dell’Etna, quindi più lavico e minerale dà al pistacchio un tocco più acidulo; al contrario quello di Raffadali, oltre ad essere molto più ampio (l’area di produzione è vasta e comprende il territorio da Favara e Agrigento, fino a San Biagio Platani e Santo Stefano Quisquina), è un territorio calcareo e sabbioso, che porta i frutti ad una diversa maturazione, anche per il caldo arido e le forti escursioni termiche.

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